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Un gesto disperato: genitori che abbandonano i propri figli

Questa volta la mia riflessione parte da uno scritto di Milan Kundera: La festa dell'insignificanza. Mi sono soffermato sulla Parte Quarta, intitolata dall'autore Tutti sono alla ricerca del buonumore. Qui, nella parte iniziale del capitolo, viene narrata la straziante vicenda di Charles, il cui padre subisce l'abbandono da parte della madre, la quale contemporaneamente abbandona anche il figlio neonato, senza fornire spiegazione alcuna. Terribile è la rivelazione del padre al figlio: la donna non voleva che lui nascesse.



Non è raro imbattersi anche solo per sentito dire in situazioni del genere: l'abbandono dei figli è - purtroppo - all'ordine del giorno. Esistono svariati motivi per i quali un genitore abbandona un proprio figlio: l'assenza del desiderio di un nascituro, l'impossibilità economica di mantenerlo, la sua omosessualità, le sue cattive abitudini (ad esempio la droga, l'alcool)... Insomma, chi più ne ha, più ne metta. Il punto è comprendere cosa, quale idea scateni l'abbandono, dal momento che il legame figli-genitori è il legame più saldo e più profondo che esista in natura - riscontriamo questo anche tra gli animali. Pensiamo infatti alla gestazione: una madre porta nel suo grembo una creatura per nove mesi, creatura che è frutto di un'unione con un'altra persona. E' lodevole, ma non giustificabile, che la madre descritta da Kundera non abbia abbandonato il figlio in strada: perlomeno ha avuto il buonsenso di lasciarlo tra le sicure braccia del padre. Purtroppo non sempre esiste una situazione di affidamento all'altro genitore, in quanto qualunque persona - ahimè - in determinate condizioni (disperate, s'intende) può compiere gesti crudeli che possono mettere a repentaglio l'incolumità del figlio.

Leggevo pochi giorni fa di una giovane madre che in preda alla disperazione a causa di gravi condizioni economiche, che le impedivano di vivere una vita "normale", ha abbandonato un neonato di poche settimane nel parcheggio di un supermercato. La lettura di questo articolo di giornale mi ha portato a riflettere, collegandomi al passo di Kundera di cui parlavo all'inizio del mio articolo.

Pensiamo non solo al gesto dell'abbandono, ma anche alle gravi conseguenze del gesto - generato da scompensi preesistenti - di queste madri "problematiche", di grande e pesante impatto sui figli che lo subiscono. Alcune madri possono soffrire di patologie psichiche, le quali sono però curabili mediante le opportune terapie farmacologiche e non, ripristinando in questo modo la facoltà di accudire le proprie creature. Esistono purtroppo anche contesti in cui proprio la madre ha bisogno di essere accudita; qui ci troviamo di fronte a donne che non sono in grado di soddisfare le naturali esigenze del figlio. La psicoterapeuta e psicoanalista Marina Valcarenghi descrive queste donne come madri negative, ed è proprio la loro negatività ad essere la causa di cicatrici indelebili nel figli, generando dei vuoti affettivi difficilmente colmabili.. Una madre negativa, che non conosce il buonumore, insicura e piena di paure, è causa generatrice di una personalità incerta nei figli, i quali non saranno mai sufficientemente responsabili nella vita, saranno incapaci di prendere con decisione alcune scelte - a meno che non subentri un'altra figura di riferimento più stabile. L'insicurezza, le paure irrazionali, l'angoscia, la troppa apprensione, sono aspetti di una vulnerabilità latente, le cui conseguenze possono sfociare nell'abbandono - o addirittura, nei casi più gravi, nell'omicidio.

Urge quindi sensibilizzare alla prevenzione, nonché alla cura precoce della salute del genitore - qualora presenti sintomatologie di squilibrio - guidandolo in un percorso in grado di alleviare le sofferenze dalle quali è oppresso, in modo da tutelare - quando possibile - i figli. "Aiutati, che Dio ti aiuta". Non è semplice essere genitore: è una grande responsabilità. Indispensabile è dapprima prendersi adeguatamente cura di se stessi, per poi riuscire a prendersi cura degli altri in maniera serena.

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