Nell'articolo precedente ho illustrato per sommi capi come ragione e progresso fossero concetti cardine secondo il pensiero dei filosofi illuministi. Oggi vi voglio parlare di come il progresso del pensiero dell'uomo lo porti a coltivare un maggiore interesse nei confronti della religione.
È necessario fare una premessa. Fino al Seicento il termine deismo (contrapposto all'ateismo) indica la "semplice" azione di credere in Dio, entità che secondo la tradizione religiosa è la causa di tutto il creato. Nel Settecento questa questione assume una concezione differente, in quanto secondo i pensatori dell'epoca lessero in quel termine la finalità di diffondere la loro visione anticlericale nonché antidottrinaria della religione stessa. Notiamo come i deisti affrontano l'argomento della Rivelazione biblica Essi si prefiggono l'obiettivo di dare una spiegazione razionale (ricordo quanto la ragione e il suo utilizzo fossero fondamentali per gli illuministi) di come Dio si riveli biblicamente ad un solo popolo, quello ebraico, palesando un'apparente indifferenza nei confronti del resto dell'umanità.
Un personaggio importante che tratta questo aspetto è John Locke (1632 - 1704),

il quale nella sua opera Ragionevolezza del cristianesimo prende una posizione, schierandosi con i deisti moderati. Vediamo come Locke intenda attuare una distinzione (intesa come una vera e propria separazione) tra dottrina pura e dottrina ragionevole - quella ricavabile dai Vangeli, testi che racchiudono l'insegnamento di Cristo. Il filosofo inglese sostiene che le Scritture possono essere lette individualmente, reputando egli inutile la presenza di altri mediatori definiti prescelti. Rimane tuttavia ancora un dubbio: la motivazione per cui Dio abbia deciso di rivelarsi ad un solo popolo, senza compiere la medesima azione anche verso altre popolazioni "civili". Locke, pertanto, giunge ad una spiegazione. Secondo lui, Dio concede in aiuto pratico - la Rivelazione - agli uomini meno dotati, intellettualmente parlando, in modo che anche essi possano raggiungere la salvezza eterna allo stesso modo in cui la raggiungono le persone intellettualmente più dotate, dal momento che l'esistenza di Dio può essere dimostrata mediante il ragionamento - vale a dire, mediante il corretto uso della ragione.
Un filosofo che si aggancia alle teorie di Locke è John Toland (1670 - 1722), autore di una polemica

nei confronti delle religioni positive. Toland sostiene che è opportuno rifiutare, scartare ciò che è contrario o superiore alla ragione, come si legge nel Cristianesimo senza misteri. La tesi tolandiana genera l'indignazione di Samuel Clarke (1675 - 1729), un teologo moderato. Quest'ultimo nella Dimostrazione dell'esistenza e degli attributi di Dio muove una critica nei confronti del materialismo (Hobbes), del panteismo (Spinoza) e del deismo (Toland). L'obiettivo del teologo Clarke è la dimostrazione in modo irrefutabile dell'esistenza di Dio mediante una serie di proposizioni logiche interconnesse tra loro. Secondo Clarke, ogni essere è l'effetto di una causa. Le varie cause prese insieme costituiscono una serie di cause ed effetti, i quali vengono sorretti da un'unica causa indipendente: Dio.
Ma alla luce di quanto emerge dai filosofi che ho citato, siamo certi che l'esistenza di Dio, causa di tutto - quindi anche della ragione, è dimostrabile solamente mediante l'uso della ragione, tralasciando quindi il vedere le cose che ci accadono e quanto ci circonda con gli occhi della Fede?
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