Passa ai contenuti principali

I Due Galanti: le due facce della stessa medaglia

Continua la mia riflessione su quanto possa accadere nella vita di ciascuno di noi, e anche oggi prendo spunto da Gente di Dublino di James Joyce. Questa volta, vorrei soffermarmi su un racconto in particolare, I due Galanti, che ha catturato la mia attenzione in questi giorni.



Sinteticamente, nel racconto vengono descritti due personaggi: Corley, apparente gentiluomo, e Lenehan, il razionale. Il primo personaggio viene presentato come uomo grottesco, un fanfarone, un uomo superficiale che pensa di aver sempre ragione nonché di avere la meglio in ogni circostanza, dal momento che si reputa il più saggio e il più intelligente di tutti - quando in realtà non è così. La comicità del personaggio sta nel suo modo di relazionarsi con le altre persone: è spontaneo, troppo spontaneo, superficiale e molto tranquillo nel suo esistere, come se fosse per lui naturale vincere in ogni circostanza data la sua innaturale sicurezza. Lenehan, al contrario, ci viene descritto come "uomo di esperienza", un uomo con un vissuto tale da permettergli di ponderare adeguatamente - forse anche troppo, ma ne parleremo tra qualche riga - le sue scelte ogniqualvolta si trovi faccia a faccia con una nuova situazione. E' proprio la sua esperienza a renderlo diffidente degli altri e restio anche solo nell'intessere delle semplici relazioni amicali con altre persone. Questo genera in lui un grande vuoto interiore che egli sceglie di colmare abusando del fumo e del cibo. La vicenda dei due amici credo sia molto comune tra noi umani. Chi non ha mai avuto modo di conoscere due amici, l'uno l'esatto opposto dell'altro? Le due figure possono anche descrivere nel medesimo tempo noi stessi e le nostre doppiezze interiori. Lenehan sembra essere geloso di Corley, ritenuto da esso una faccia tosta. La figura di Lenehan ci parla, dicendoci come le insicurezze di una persona possano acuirsi nel momento di un confronto con una persona "sciolta", che non prova alcun tipo di imbarazzo in ogni situazione. A volte credo che una sana e moderata dose di faccia tosta - prendendo in analisi Corley - possa essere un'utile arma che ci consente di superare piccole tensioni interiori che si ripercuotono sull'esterno che viviamo, senza però cadere nell'eccesso - che può danneggiare noi stessi e gli altri. Nelle parole di Joyce leggo un invito a prendere la vita con una sana leggerezza, a fin di non percepire il naturale peso della vita stessa. Orazio avrebbe commentato ciò con la frase Est modus in rebus. Joyce ci invita tuttavia - con la figura di Lenehan - anche a ponderare, a riflettere adeguatamente circa la nostra personalissima condizione, analizzandola con quell'adeguata attenzione che ci consente di studiare e sviluppare alcune tecniche di reazione a stimoli esterni, nonché di rompere quegli schemi che proprio noi stessi ci creiamo.

"Parlò con un tono volgare per smentire l'aspetto signorile,
poichè quando era entrato gli avventori avevano smesso di conversare"
(James Joyce, Gente di Dublino)

Non è casuale la mia citazione. Spesso siamo costretti dal timore di non essere accettati a modificare il nostro comportamento mediante atteggiamenti momentanei, tattiche di difesa che sono particolarmente dannose, poiché interferiscono con la nostra personalità. Possiamo arrivare a mutare il nostro naturale modo di relazionarci con le altre persone, ma dobbiamo sempre tenere a mente che non si può piacere a tutti, e tentare di farlo a tutti i costi non è salutare - riflessione applicabile non solo alle relazioni amicali, ma anche al rapporto di coppia - in quanto prima o poi l'altro - o le altre persone - arriverebbe comunque a comprendere ciò che noi a conti fatti siamo. Purtroppo accade che ci lasciamo condizionare dai comportamenti altrui, dalle parole che ci vengono dette, dalle situazioni che viviamo, cose che inconsapevolmente generano in noi una volontà di modifica di alcuni nostri modi di comportarci contaminando così la nostra naturalezza, la nostra spontaneità. L'invito di questo racconto, a mio parere, è di non lasciarci contaminare dalle persone, dalle loro parole e dai loro modi di fare nei nostri confronti, ma di perseverare invece nella difesa del nostro io e delle nostre scelte, ponendo una maggiore attenzione a non conformare forzatamente noi stessi all'altrui opinione di noi. 

Viceversa, è nostro compito ascoltarci, scrutarci, analizzare il nostro comportamento perché esso sia - con le dovute precauzioni - lo specchio della nostra anima, focalizzando la nostra attenzione a non ferire noi stessi con la repressione (o con l'esagerazione) né tanto meno gli altri con modi scortesi e villaneschi. E' opportuno trovare il giusto equilibrio tra la nostra personalità e il nostro modo di porci, senza cedere all'esasperata volontà di manifestare a tutti i costi ciò che siamo. Le altre persone - purché intelligenti - arriveranno a conoscerci. Ci vorrà del tempo, non c'è dubbio. Essere spontanei, essere noi stessi, non significa che il nostro comportamento debba assumere un carattere "pornografico" (cercate di capirmi, intendo "volgare"). Essere noi stessi significa vivere una vita allineata con il nostro io, cercando di trovare quel giusto equilibrio del quale parlavo poche righe fa, con la voglia di esplorarci nel profondo e di conoscerci. Quando staremo bene con noi stessi, quando il nostro agire sarà allineato con la nostra psiche, quello sarà il momento in cui - saldi nel nostro essere - rifiuteremo qualsivoglia cliché in favore di una vita "nostra", assoluta (in senso latino) da preconcetti che non ci appartengono. Ciò, tuttavia, non vuole essere un invito alla smoderatezza, quanto invece alla difesa della nostra personalità, del nostro io, di ciò che in realtà siamo.

Commenti

Posta un commento

Post popolari in questo blog

Gente di Dublino, gente di tutti i giorni

Il mio incontro con l'autore In quinta superiore - ho frequentato un Liceo Scientifico ad indirizzo bilingue - ho avuto modo di affrontare la Letteratura Inglese del Novecento. Il mio interesse personale mi ha portato a focalizzare la mia attenzione su un autore in particolare: James Joyce. Sono stato presto catturato dal suo carattere anticonformista e critico nei confronti della società - in questo caso, quella irlandese, anche se mi preme precisare che non ho nulla contro gli abitanti dell'Irlanda... - e di alcune prese di posizione della chiesa cattolica, carattere che viene palesato dalle famose epifanie . Per epifania , in Joyce, si intende il momento in cui un'emozione  sepolta da anni nella memoria di un personaggio riaffiora nella superficie della sua mente,  concedendogli di provare le stesse emozioni provate nel momento della sua vita in cui esse si manifestarono per la prima volta. Non solo: rimango tutt'ora af...

Un gesto disperato: genitori che abbandonano i propri figli

Questa volta la mia riflessione parte da uno scritto di Milan Kundera: La festa dell'insignificanza . Mi sono soffermato sulla Parte Quarta , intitolata dall'autore Tutti sono alla ricerca del buonumore . Qui, nella parte iniziale del capitolo, viene narrata la straziante vicenda di Charles, il cui padre subisce l'abbandono da parte della madre, la quale contemporaneamente abbandona anche il figlio neonato, senza fornire spiegazione alcuna. Terribile è la rivelazione del padre al figlio: la donna non voleva che lui nascesse. Non è raro imbattersi anche solo per sentito dire in situazioni del genere: l'abbandono dei figli è - purtroppo - all'ordine del giorno. Esistono svariati motivi per i quali un genitore abbandona un proprio figlio: l'assenza del desiderio di un nascituro, l'impossibilità economica di mantenerlo, la sua omosessualità, le sue cattive abitudini (ad esempio la droga, l'alcool)... Insomma, chi più ne ha, più ne metta. Il punto è ...